Adesso “è” teatro…!….

Ma chi fa teatro l’attore o l’uomo o donna o ermafrodita che sia? L’uomo “è” teatro in uno spazio scenico molto più ampio di un palco di teatro, perché egli è un mezzo di conoscenza è linguaggio.

Il progetto “segni di comunicazione” per me è stato un mezzo di conoscenza che è andato oltre lo spazio limitato del palco e del tempo stesso dei laboratori che hanno visto coinvolti diverse persone. Per me è stato anche un tentativo ulteriore di trasformazione della realtà interiore, relazionale e comunitaria.  In questo “spazio” ognuno di noi ha esplorato, per mettersi in scena, analizzare e provare a trasformare la realtà che vive. Ho immaginato di conservare l’entrata nel caos delle altezze ….. il mio non riuscire più a sognare …..e per il finale…e si magari in un’altra vita….ora vedo solo me in pantofole….. che si poggia su qualcuno e leggero prova a danzare per sostenere il peso dei suoi ricordi. Le finalità per me non sono state solo quelle della “rappresentazione” finale, ma anche quelle dello scoprirsi “dentro e fuori” la scena a quel “pubblico” che siamo noi stessi, per come ognuno il noi nella vita quotidiana si manifesta e recita la sua parte e prova a rendersi protagonista, affinché ognuno lo possa riconoscere nella vita. “Immaginariamente” in “segni di comunicazione” ho ritrovato sia fuori che dentro quello che ho cercato sin dall’inizio dell’esperienza: la rappresentazione di ognuno di noi, come essere umano che non “fa teatro” ma che “è” teatro. Ognuno di noi sia che stava “fuori e dentro” ha recitato la sua parte e messo in scena la parte di sé più nascosta, avendo conferme che non c’è mai per noi clown un teatro del fuori e del dentro la scena! In questo senso difendo i presupposti intimi del mio dissenso, che per me mantiene la propria base nella cultura della condivisione, sempre e comunque, anche del peggior lato di me.

Lo stesso concetto di “cittadinanza” nella nostra “…comunità libertaria di clown e sognatori pratici” parte da quel concetto “libertario” che è non insito nella condivisione per forza di tutti di una determinata esperienza, ma nel senso di essere libero di poter fare ognuno le proprie scelte e “rappresentarle” assumendosi l’onere e la responsabilità da solo della stessa scelta.Lo stesso concetto di “condivisione” o di “democrazia” in molti casi oggi viene utilizzato distorcendo il senso stesso del significato del termine sul quale, mai come in questi ultimi anni ci sarebbe bisogno di RI-Convenzionarsi (maieuticamente parlando). La stessa “arte” del nostro clown è trasformarsi in una forma di coscientizzazione che ci faccia aprire non solo ad una più chiara lettura dei nostri “segni di comunicazione”, limiti, fragilità, “oppressioni” o “immaginazioni”, ma fondamentalmente anche a quella rinnovata capacità di farci comprendere che una parte del mondo che non ci piace in ogni caso ci appartiene! In questo senso il mio non riuscire più a sognare, è maturato dal fatto che non vivo più quel senso di comunità che intendevo io, in verità già da un bel pezzo della mia vita ed i “segni” oggi sono evidenti (in generale). E, quindi mi chiedo: quali legami ancora ci possono tenere uniti, se fomentati dall’incuria. Un arte teatrale non ha bisogno solo delle parole, ha bisogno a volte anche dei silenzi, dei colori, ma in particolare delle “azioni umane” che nel tempo e nello spazio quotidiano di ognuno ci fanno pensare che siamo legati da una comunanza, che utilizza – e prima di tutto – è stata capace di condividere esperienze,  di provare a comunicare “segni”, oneri, cura e rispetto dell’altro.

Un etica estetica della bellezza che non c’è in un mondo che va alla deriva e che ci attraversa tutti. Un “autismo corale” comunitario dove ognuno, me compreso, ha manifestato con arroganza i propri limiti umani, ma anche in ciò ognuno ha l’obbligo di farsi carico di scoprire ogni giorno di ognuno la bellezza. Certo siamo distratti e la bellezza non la si può percepire quando si è distratti. Io tutto ciò ho solo potuto manifestare, pur nella mia incapacità di non riuscire più a sognare un desiderio – colto a volo da Adriana – di truccare tutti i clown, seduti nudi davanti a me, nel mentre danzavo tra i colori del trucco e nell’abbraccio di un fantasma. E, così svegliarmi incapace di esprimere li, attraverso la scoperta e la realizzazione di una gamma di “ruoli” quel no, tu non vieni! E, no …certamente, no! Non è un ruolo che ho imparato all’ultimo momento, ma un vissuto sviluppatosi in molti giorni forse mesi di incontri sia con il gruppo del laboratorio ma anche con assenze assordanti, o con bugie ripetute, e confermatesi – come per magia – solo alla fine, come sempre? E no, come sempre! Una spontaneità, non creata da un processo di “riscaldamento muscolare” che mi faceva pure dolere le ossa, la pancia, o la schiena, sempre più addolorata, ma un riconoscere ognuno di noi cosa è stato chiamato a riconoscersi ed a utilizzare, per giocare creativamente non nuovi ruoli da interpretare con l’aiuto di un regista anche famoso, ma semplicemente farseli scoprire. In questo senso ognuno di noi “è” teatro e non vedo alcuna separazione tra l’agire fuori e dentro in questo palco che è la nostra vita, dove era già tutta scritta la sceneggiatura con i ruoli dei protagonisti e delle comparse e dove i veri protagonisti – come al solito – erano quelli nascosti, fuori dalla scena come nei film gialli e le comparse quelle in scene. La stessa in-comprensione di alcuni di noi a far dire loro ci sono anch’io quando non c’eri, solo adesso, ne tanto quando non sognavo, ne tanto ……. Non c’eri e basta! Chi era in scena viveva già il suo dramma, e tu non c’eri. Vuoi andare via adesso, o tornare? Ma, noi non c’eravamo già per nessuno, in questo groviglio umano di desiderati!

Per questo il viaggio è da svolgersi in buona “compagnia teatrale” – forse per questo si chiama così – considerando da sempre il suo contesto ideale. Ciò va difeso, tutelato e non può essere inteso da nessuno come esclusione, comprendere ciò è già partecipare, per costruire un vero e nuovo spettacolo in vita, perché altrimenti siamo già morti! Questa si chiama per me volontà in movimento per RI-Costruire legami. “Addomesticarci” ognuno all’altro, desiderare che arrivi perché se no si perde qualcosa, e così stare li da ore ad aspettare che arrivi. Il problema più forte è quando non desideri che l’altro arrivi. Qui non c’è possibilità di alibi per nessuno, c’è solo onere, carico, chiedendosi:… perché? Responsabilità “è” scelta! Venire o non venire, senza delegarla ad altri. Questa è la vera libertà! La libertà è uno stato d’animo è un non sentirsi in colpa, per l’azione che si fa. E non cercare alleati impossibili, al di fuori di sé. Essere protagonisti significa anche saper rinunciare a fare una cosa. E questo può significare il modo giusto per poterla condividere con gli altri.La volontà della comunità, non si esprime attraverso il consenso ma solo attraverso l’azione, al tempo stesso individuale e collettiva. Questo è il senso del cum-munis per me. Il problema non è il dono ma come dono. Come io guardo e innaffio la mia rosa ogni giorno e come gli altri si accorgono che io ne sono innamorato. Il mio ruolo non è potuto essere quello di partecipare attivamente, bene allora innaffio quando posso la “mia” rosa, senza fare altro di più. Certo che ciò non può opprimere nessuno di noi, ed io mi sento oppresso. Solo attraverso la propria azione che “è” teatro, non siamo più spettatori, ma attori, registi, scenografi, del proprio quotidiano.

Attraverso ciò ognuno può sperimentare i propri limiti, senza più nessun obbligo di “apparire” a tutti i costi. E’ proprio attraverso l’identificazione di questi momenti di vita reale, che si possono scaricare tutte le nostre oppressione e, se vissuti come un‘ingiustizia, si può essere chiamati ad “immaginare” ancora di più attraverso questi “segni di comunicazione” cosa va corretto nei nostri comportamenti. E così come ne teatro anche nella vita ci sono diversi ruoli che si possono recitare: quelli della vittima, quelli del carnefice, quelli del saggio esaurito o dell’illuminato violento e scassa cazz o quello della malata immaginaria che vomita di continuo perché è stitica! Ognuno di noi nella vita quotidiana ha scelto il ruolo da recitare a che serve il teatro? Nel teatro non succede niente di interessante, e fuori che c’è il vero spettacolo! In questo contesto del “fuori scena” che si è invitati a sperimentare un’azione diversa senza l’aiuto degli altri. E così ognuno potrà mettere in scena, qualcosa di sé, diventando il vero protagonista ed aiutando sé stesso e l’altro a cambiare. Ognuno di noi mette in scena il proprio ruolo ed anche qui ognuno di noi me compreso, l’ha fatto! Credo che se si analizzano meglio questi aspetti, possiamo comprendere meglio il fuori e il dentro (la scena) di ognuno di noi e come questa esperienza ci sia venuta in aiuto, accettando il fatto una volta e per sempre che tutto il male possibile resta il meglio per me!

La vita è di per se una messa in scena di un momento di oppressione apparentemente personale che allarga la sua prospettiva al mondo reale ne rivela gli aspetti del vissuto di ognuno. Ecco, per questo, quando ho i mei n’truppi fuggo, avendo coscienza che non sono stato abbandonato ne che abbandono nessuno ma provo semplicemente ad  “immunizzarmi” dai “mecalo virus” o dalle ferita da armi da taglio e semmai nel silenzio provare a costruire nuovi legami. Non sono mai stato capace di condividere la mia solitudine, la mia nostalgia, la mia oppressione, cosciente del fatto che non sono capace a fare ciò senza il rischio di provare a far danno. A pensarci bene certamente non ci sono riuscito. Ma anch’io come voi sono un insieme di vizi e virtù che costituiscono il mio essere persona, perché ciascuno di noi come persona è capace di contenere tutto: tutti i diavoli e tutti i santi.Ogni personalità è una riduzione di questi elementi, quindi i filtri censori che impongono la moralità, la paura, ciò che gli altri possono pensare e così via, e consentono solo ad alcuni aspetti della persona di trasparire all’esterno. La personalità che avrà il permesso di apparire, è per il più delle volte, dovuta dalle imposizioni e dalle norme sociali e se volte dai nostri vuoti esistenziali. Io per assurdo nel fuggire non mi sono mai posto il problema di apparire, ma di scomparire in uno spazio temporale aiutato in questo viaggio infernale dalla mia più bellissima invenzione: la moto del tempo. Ora, tutelando quella rosa che continuo ad innaffiare ogni giorno, in questo arcobaleno di parole che provano a narrare il mio dissenso per alcuni atteggiamenti frutto di quei diversi nostri mondi interiori, combattuti dai ricordi e dai sogni di ognuno e continuare a navigare a vista tra quella realtà che non mi piace e la potenza dell’immaginazione, ancora mi rappresento nelle cose che non mi piacciamo, rivendicando qui, le cose che vorrei continuare a provare a fare insieme a voi.

In questo senso, rivolgo a me stesso ed a voi questo augurio: innamorarsi ancora, perché: “giuro a me piace parlare piano di notte!”

Nanos